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domenica 16 aprile 2017

"Il grido lacerante dell’Uomo-Dio attraversa le tenebre della storia dell’uomo decaduto; è l’ora culminante dell’agonia in cui Gesù Cristo assume tutti i peccati che devastano l’anima umana".

LA DIVINA PASSIONE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele

Quando si medita sulla somma violenza e intensità dei dolori sofferti dal Signore nella Sua Passione, dall’Agonia nell’Orto di Getsemani alla Morte, si capisce che solo l’Amore divino poteva sopportarli con quelle santissime parole.
E come non meditarla sempre, specialmente ora che conosciamo particolari medici di quelle laceranti sofferenze fisiche, che ci hanno aperto le porte della salvezza?
Per avvicinarle, cominciamo dalle ricerche mediche del chirurgo e medico legista francese Pierre Barbet, per cui «si poteva ormai essere certi che la morte di Gesù in croce era avvenuta per contrazione tetanica di tutti i muscoli e per asfissia… Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per 13 anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l’anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione».
«Gesù entrato in agonia nell’orto del Getsemani – scrive l’evangelista Luca – pregava più intensamente. E diede in un sudore come di gocce di sangue che cadevano fino a terra». Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. E lo fa con la precisione di un clinico. Il sudar sangue, o ematoidròsi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta, causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, l’angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiac­ciato Gesù. Questa tensione estrema produce la rottura delle finis­sime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudori­pare… 


 Il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra… E Gesù s’è sentito abbandonato perfino dagli apostoli addormentati, e sa che sarà tradito da Giuda.

Seguì la farsa del tetro processo notturno, tramato dal Sine­drio. Poi quello di Erode e di Pilato che, per soddisfare la sete di sangue dei nemici del Salvatore, ha ordinato la Sua flagellazione alla colonna. Le tracce delle innumerevoli ferite provocate sono sulla santa Sindone di Torino, così come i segni dello scherno dell’incoronazione di spine in una specie di corona che calcano sul Suo adorabile capo, per ulteriore vergogna umana. E Pilato, dopo l’«Ecce homo» per esibire Gesù col corpo selvaggiamente stracciato da alto in basso, Lo ha consegnato villanamente alla morte per crocifissione.
E così a Gesù è portata la croce che dovrà caricare fino al Calvario. Quale stupore nel sapere che il Signore abbraccia con amore quello che sarà lo strumento della Sua tortura, perché sarà il pegno della santificazione di molti e salvezza di moltitudini! E Gesù la porta scalzo per la via dal fondo ruvido che sale al Calvario, mentre i soldati lo tirano e picchiano quando cade sfinito sotto quel legno pesante che Li lacera la spalla piagata.
Sul Calvario i carnefici Lo spo­gliano, strappando la tunica incollata alle piaghe per iniziare la crocifissione. Quei dolori acuti avrebbero provocato in molti una sincope, perché il sangue scorre abbondante con Gesù disteso nella polvere sul dorso. E inizia il supplizio orribile dei chiodi martellati sui polsi nell’incrocio dei nervi, provocando un dolore lancinante, il più insopportabile che uomo possa provare, perché lacera i nervi e di solito provoca una sincope che fa svenire. In Gesù il nervo forse non è tagliato e struscia sul ferro del chiodo quando il corpo di Gesù sarà sospeso sulla croce, in modo straziante perché sensibile a ogni scossa e movimento per fissare la croce, nei dolori di un supplizio che durerà fino all’ultimo, tre ore dopo.
È mezzogiorno. Gesù non ha bevuto nulla né mangiato. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue, la bocca è secca la gola brucia, non può deglutire e ha una sete mortale. Eppure, riesce a pronunciare quelle buone parole il cui culto segna la vita d’ogni cristiano, perché sono di amore e sete della salvezza di molte anime.

Sono sette le frasi di Gesù dette in croce, sollevandosi sui chiodi che premevano sui nervi dei Suoi piedi e polsi. Gesù, colpito d’asfissia, soffocava, ma con sforzo estremo dice: “Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Tutti i Suoi dolori, la sete, i crampi, l’asfissia, non Gli strappano lamenti, ma parole di cuore, da allora tramandate per l’elevazione delle anime. E il primo effetto è stato nella mente e nel cuore di Dismas, detto il «buon ladrone», che ha capì essere accanto a una santità che solo poteva essere divina, del «Salvatore», a chi rivolgere con fede un’umile supplica: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», quello di gioia incalcolabile. Ebbe così la grazia di sentire: In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” ( Lc 23,43).
Presso la croce di Gesù agonizzante, c’è la Madre che patisce nel suo Cuore Immacolato il sommo dolore della Passione del Figlio. Con lei c´è Giovanni, il discepolo dal cuore formato su quello di Gesù e quindi capace di amare con totale dedizione, e senza paura. Maria è investita dal Figlio allora di una maternità spirituale e universale con le brevi ma intense parole cariche di significato: Donna, ecco tuo figlio!… Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27), di cui Giovanni figura i beneficiati da un supremo testamento d’amore lasciato da Gesù. Giovanni prenderà la Madre con sé per riceverne le cure e ogni luce che testimoni il mistero della Redenzione sgorgata da quella divina Passione.
Dopo aver pronunziato il suo «testamento spirituale» e aver consegnato la Madre al discepolo amato, Gesù è ora totalmente sommerso da un dolore sovraumano, come se mancasse ogni sostegno e grida tutta la sua desolazione e l’angoscia di vero uomo dei dolori: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Il grido lacerante dell’Uomo-Dio attraversa le tenebre della storia dell’uomo decaduto; è l’ora culminante dell’agonia in cui Gesù Cristo assume tutti i peccati che devastano l’anima umana. E il pianto di tutto il dolore delle generazioni umane sale dalla terra per toccare il cuore del Padre che aveva ispirato queste parole nell’inizio del Salmo 22, riapertosi col lancinante grido di abbandono. L’ora in cui Colui che è la Vita si consegna alla morte è l’ora della redenzione dalla Caduta originale ottenuta dal Padre con l’agonia del Figlio.

“Ho sete” (Gv 19,28), il gemito di qui muore di sete è – acqua! – ma Gesù ha un’altra sete, e dai Vangeli sappiamo che dal principio e alla fine della sua vita pubblica, Gesù ci chiede con insistenza di sod­disfare la sua sete. È Dio che viene a noi come persona assetata che ci chiede di dissetarLo al pozzo del nostro povero amore, qualsiasi sia la sua qualità e quantità che vuole accrescere alla stregua del suo amore infinito, per cui è morto agonizzante sulla croce.
“È compiuto!” (Gv 19,30). Il grido di Ge­sù non è semplicemente per dire che tutto è finito e morirà, ma per significare che il fine della sua Passione è piena; resa perfetta nella dimostrazione soprannaturale di un amore senza limiti per le anime umane, create all’immagine e somiglianze di Dio, che dovevano essere redente. L’evangelista Giovanni ci dice all’inizio dell’Ultima Cena cosa sia questa volontà divina: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”; all’estremo delle possibilità della Sua natura di perfetto uomo e perfetto Dio, che sulla croce vediamo arrivate all’estremo della perfe­zione dell’amore, compiuto nel colmo del dolore.
“Padre, nelle Tue mani consegno il Mio Spirito” (Lc 23,46). Gesù pronuncia le ulti­me parole che invocano la consegna del Suo Sacrificio divino al Padre, la cui Volontà ha compiuto fino alla fine e all’ultima goccia del Suo Sangue, che sarà trasmesso nel segno della Nuova e eterna Alleanza per la nuova creazione della Chiesa, Regno dell’Amore divino in terra, per sempre benedetto nei secoli dei secoli. Fu la settima e ultima prima di qual riposo della nuova creazione senza tra­monto, che completa la prima: “Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fat­to e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Gen 2,2).
È impossibile immaginare un tesoro, una eredità super miliardaria che possa essere vicina alla conoscenza della profondità di questa Passione divina espressa in queste parole per amore degli uomini. Solo l’Uomo-Dio nella Sua perfezione integrale avrebbe potuto reggere tale supplizio per amore; un amore divino, che rende la Sua Passione segno della Sua vera natura, rivelarasi perfino in un corpo strazziato dalla più completa sofferenza patita da uomo.
Se la Risurrezione darà al mondo il segno finale dell’intervento divino in terra, già la meditazione di questa Divina Passione di Gesù alimenta la nostra fede nella presenza dell’Amore di Dio che è Via della Bontà, Verità e Vita eterna tra noi.

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