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sabato 2 gennaio 2016

Sant'Agostino d'Ippona - SERMONE XXVIII. Della Natività del Signore...

 Fonte: Progetto Barruel...

Sant'Agostino d'Ippona

Da: Collezione di Sacri Oratori latini t. I - Sermoni di S. Agostino volgarizzati da Mons. Galeazzo Florimonte Firenze 1832.

SERMONE XXVIII.

Della Natività del Signore.

Nella seconda Domenica dell'Avvento; della Natività del Signore, e del prepararsi alla Comunione.

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Questa santa, desiderabile, gloriosa, e singolare solennità, fratelli carissimi, cioè la Natività di nostro Signore, avendo noi a celebrare devotamente; con l'aiuto suo, e con tutte le forze nostre ci dobbiamo disporre, e con diligenza cercare per tutti i nascondigli dell'anima nostra, che non ci rimanga qualche peccato occulto, il qual possa confondere la coscienza nostra, e dispiacere agli occhi della Maestà divina. Conciossiachè, quantunque Cristo Signor nostro dopo la divina sua passione sia risuscitato ed asceso in cielo, nondimeno risguarda come è da credere, e considera minutamente i suoi servi fedeli, come ciascun d'essi senza superbia, senz'ira, ed odio, senza invidia, senza avarizia si studi prepararsi a celebrare, ed onorare questa santa Natività. E secondo troverà ciascun d'essi adornato di santi costumi, così dispenserà a lui la grazia della misericordia sua. Perchè se 'l vedrà vestito della preziosa veste di carità, ed adornato delle gemme della giustizia, e della misericordia, casto, umile, misericordioso, benigno, e sobrio; se tale lo conoscerà, il corpo e sangue suo non a giudicio ma a rimedio gli concederà di prendere per mano de' sacerdoti ministri di quel sacramento.

 Ma se ne vedrà alcuno adultero, ubbriaco, avaro, superbo, dubito non gli dica quello che è scritto nell'Evangelio: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste delle nozze? E quel che leggesi appresso: legategli le mani, e i piedi, e gittatelo nelle tenebre esteriori, dove è pianto e stridor di denti. Ecco qual sentenza aspetta contra di sè colui che senza il rimedio della penitenza, e macchiato di brutture di peccati, viene a celebrare la santa festa della Natività. Nel nascimento del Signore, fratelli carissimi, quasi nelle nozze spirituali alla Chiesa sposa sua è aggiunto Cristo. Allora è nata la verità alla terra, allora scese la giustizia dal cielo, allora uscì lo sposo del talamo suo, cioè il Verbo d'Iddio dal ventre virginale, camminò con la Chiesa sua sposa, cioè prese umana carne. Ora a queste santissime nozze invitati, essendo per entrare nel convito del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo, considerate con che maniera di panni avete a vestirvi. Per tanto, fratelli carissimi, con l'aiuto d'Iddio facciamo netti e mondi i cuori insieme ed i corpi nostri, acciocchè quel celeste padrone del convito, che ne ha chiamati, non trovi nella persona, e nella coscienza nostra macchia alcuna sucida e brutta, niente che offenda gli occhi della sua divina maestà. Questo ch'io dico, fratelli, non lo dovete pigliare così come di passata, ma lo dovete considerare con gran tremore. Noi siamo invitati a tal maniera di nozze, che faremo l'ufficio nostro, e ognun di noi sarà la sposa. Consideriamo bene a quanto preziose nozze, a quanto degnissimo sposo siamo chiamati. Noi siamo invitati a una tal mensa, nella quale non si porta cibo umano, ma pane d'Angioli.

 Per tanto bisogna guardar molto bene che dentro l'anima nostra, dove dovremmo stare adornati delle gemme dell'opere buone, non siamo vestiti di sozzi e puzzolenti panni vecchi di vizii, e di peccati, sicchè quando quei, che sono stati diligenti a farsi netti, compariranno innanzi al Signore ornati e lucenti di castità, quei che non se ne sono curati, sieno veduti sozzi e imbrattati di lussurie. Pertanto, figliuoli, quando ci sopravviene la festa della Natività del Signore, o altra solenne, come più volte vi ho detto, molti giorni avanti vi dovete guardare non solamente dall'infelice, e nefando commercio delle concubine, ma dalle proprie mogli astenere, e non solamente dai vizii della libidine, ma dagli altri peccati ancora, com'è dall'ira, dalla gola, e simili, e le passate colpe ricompensare con le limosine, e con la penitenza. Non alberghi nel cuor vostro pur un minimo odio contra chi si sia; e quel che la vanità vostra soleva struggere e dissipare con la pompa, o gola, cominci ora a ricompensare la giustizia con l'aiuto de' poveri; e quel che la lussuria, e la gola ha dissipato nel mondo, la religione e la carità lo rimetta in cielo. E benchè d'ogni tempo sia bene e necessario il far delle limosine, nondimeno in questa solennità e gran feste dobbiamo sforzare più del solito la nostra possibilità a dare a' poveri. Chiamiamo i poveri ai nostri conviti, perchè non è onesto che nella celebrità, che appartiene al Signore di tutti, alcuni s'imbriachino e sieno satolli, e gli altri non possano saziar la fame.

 E siam nondimeno, tanto nobili quanto popolani, servi d'un medesimo Signore, d'un medesimo prezzo siamo riscossi tutti, d'una medesima maniera siamo entrati in questo mondo, e in un medesimo modo ne usciremo tutti, e se saremo buoni, ad una medesima beatitudine tutti sarem ricevuti. Ora per che cagione ti sdegni che quel povero stia teco a una mensa, il quale ha da regnar teco in un medesimo regno? Perchè sei avaro tu d'una vecchia tua veste al povero, il quale ha da prender teco la stola della immortalità? Perchè non merita il povero di ricevere il pane tuo, il quale ha meritato con te di ricevere il sacramento del battesimo? Perchè non merita di ricevere quel che avanza alla mensa tua colui che ha meritato di essere invitato al convito degli Angioli? Udite, fratelli, udite non il mio precetto, ma del Signore nell'Evangelio, parlando comunemente a tutti: quando fai il pranzo, o la cena, dice esso, non chiamar a cenare, o a pranzar teco i ricchi, dai quali puoi essere similmente invitato, ma chiama i poveri, e i zoppi, e sarai beato, perchè non hanno di che rimunerarti, onde sarai rimunerato nella rimunerazione de' giusti. Ma dirà alcuno: dunque non posso io chiamare a pranzo meco i miei parenti ed amici, o vicini miei? Ti rispondo che tu de[v]i invitare i parenti, e i vicini ma di rado, e non de[v]i apparecchiar loro cene sontuose e splendide e di gran prezzo, ma tanto modeste che ti rimanga di che dare ai poveri, acciocchè nel dì del giudicio non ti sia detto quel che sarà detto ai ricchi, che dispregiano i poveri: Partitevi da me, maledetti, nel fuoco eterno; e meriti invece d'udire quel che sarà detto ai misericordiosi, ed ai giusti, cioè: Venite, benedetti, dal Padre mio, perchè quando ebbi fame, mi deste a mangiare, quando ebbi sete, mi deste bere; e insieme sia indirizzata a te quella desiderabil voce: Allegrati, buon servo e fedele; perchè sei stato fedele sopra il poco, ti porrà amministratore di molto più, entra nel gaudio del Signor tuo.

 E perchè vorrei che quel che ho detto alle carità vostre vi rimanesse nella memoria, vi replicherò la somma. Io vi ho ammoniti, fratelli, che approssimandosi la festa di Natale, ci vogliamo alienare da ogni lussuria, e come se avessimo ad andare a qualche celebre convito ci vogliamo adornare di bella veste, cioè di buone opere. Diamo delle limosine ai poveri, scacciamo l'ira e l'odio, come veleni, da' nostri cuori, serbiamo fedelmente la castità. Ai vostri desinari e cene siate più pronti a chiamare i poveri che i ricchi. Andate agli uffici divini più per tempo che 'l solito. Stando voi nelle chiese, o pregate Iddio, o cantate i Salmi. Parole oziose o vane non vogliate voi dire, e se altri le dice, quanto è il poter vostro, non lo consentite. Abbiate pace con tutti; e quei che vedete in discordia ingegnatevi di ridurli in amicizia, e concordia. Se queste cose con l'aiuto d'Iddio porrete ad esecuzione, in questo mondo potrete sicuramente andare all'altare, e nell'altro giugner felicemente all'eterna gloria con l'aiuto del Signor nostro Gesù Cristo, il qual vive e regna ne' secoli de'secoli. Così sia.
Testo latino tratto da: Patrologiae cursus completus (J.-P. Migne), tomus XXXIX, S. Aurelii Augustini hipponensis Episcopi Opera Omnia (t. V pars altera), Parigi, 1865 col. 1975-1977.

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