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venerdì 22 ottobre 2010

La Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, sembra essere diventata l’esercito di Arlecchino...

L’abito ecclesiastico come divisa militareAd una recente presentazione di uno dei miei libri sugli angeli in una prestigiosa libreria romana,  avevo chiesto ad un superiore di un antico e glorioso istituto religioso di intervenire chiedendogli gentilmente di presentarsi  con l’abito specifico della sua congregazione visto che sia io, l’autore, che l’altro conferenziere invitato, stavamo in talare. Quel superiore religioso invece mi ha risposto che non si sarebbe presentato giammai con l’abito caratteristico del suo istituto perché era ormai  per lui l’abito dei morti perché apparteneva al diciottesimo secolo e si è presentato in giacca e cravatta. Tra me e me, vedendo un superiore religioso vestito impeccabilmente da laico, ho pensato che il vero morto ormai era il suo istituto religioso che dopo il Concilio Vaticano II era passato da oltre 16.00 religiosi nel 1966 agli attuali meno di 4000 in stragrande maggioranza ammalati e anziani ultrasettantenni.  Sul numero 54 del mensile “ Fede e cultura” di settembre 2010 diretto dall’ottimo don ... 
...    Guglielmo Fichera  a pagina 46 è scritto riguardo all’abito ecclesiastico che numerosi preti e religiosi da tempo ormai, nonostante l’obbligatorietà, hanno smesso di indossare: “ Il vero motivo per cui si tolgono l’abito è perché esso bene richiama continuamente al fatto che quell’abito è simbolo della purezza da vivere, della penitenza da incarnare, della vera preghiera da respirare”.
L’abito religioso partecipa del carattere della uniforme, è infatti una veste fissa, uguale e caratteristica di un particolare gruppo di persone appartenenti allo stesso Istituto religioso.
L’antica tradizione monastica ha, in genere, curato una certa uniformità nel vestire. Già S. Pacomio vuole che il monaco “nelle vesti e nel portamento non introduca nessuna novità diversa dal costume degli altri”. Comunque Agostino e Benedetto non parlano di veste uniforme. Le tendenze a convertire l’abito religioso in una uniforme, emergono chiaramente a partire dal sec. X, con le polemiche tra benedettini “neri” e “bianchi”. Ma è soprattutto con i Mendicanti ( Francescani, Domenicani e Carmelitani) che l’abito viene accuratamente caratterizzato come abbigliamento specifico dell’Ordine. Poi, nel Codice di Diritto Canonico del 1917, l’abito sarà considerato proprietà intrasferibile di ogni Istituto religioso.
Rolando rivi...
Nella nostra società individualistica ed anarchica c’è un crescente deprezzamento  contro ogni specie di uniforme o divisa. Analizziamo alcune delle critiche alle uniformi. L’uomo moderno non si lascia identificare con la funzione che esercita nella società: non vuole essere ridotto ad un comune denominatore. Una uniforme può essere , per colui che è costretto ad indossarla, la frustrazione per eccellenza dell’esistenza a cui la sua coscienza libera aspira. Poter scegliere la forma ed il colore delle proprie vesti è importante soprattutto per la donna, la quale tende ad armonizzare questa scelta con gli aspetti più personali della sua femminilità. La divisa può spersonalizzare l’individuo, il quale facilmente rinuncia ad ogni senso critico, che potrebbe condurlo a mettere in discussione la propria uniforme ed a ritrovare la sua vulnerabilità e fragilità individuale. Le uniformi sartoriali o intellettuali danno sì  una identità e quindi, anche una certa sicurezza; ma si tratta di identità e sicurezza che riposano sul gruppo di cui si forma parte.
La divisa può essere poi un ostacolo ad un vero dialogo con gli altri: chi è in divisa viene subito catalogato come rappresentante di ufficio di una determinata ideologia o mentalità. La divisa, in certi ambienti, è ancora oggetto di rispetto, ma si tratta quasi sempre di un  rispetto che crea distanza, separazione…L’uniforme è come una maschera di teatro; permette di creare un personaggio che eserciti il ruolo che la società attende da lui. Una uniforme che pretende esprimere le proprie convinzioni intime appare, non di rado, agli occhi degli altri, come un modo di esimersi dell’essere in profondità ciò che una afferma di essere in modo così ostensibile.
Secondo Langner, per la nostra società, l’uniforme è anzitutto segno di potere e di forza organizzati: ricorda a questo proposito l’uniforme militare e quella dei giudici, alle quali equipara poi la stessa veste clericale. Si ascrive a Napoleone l’affermazione:” Si diventa l’uomo della propria uniforme” (On devient l’homme de son uniforme). Nell’attuale società, fortemente personalistica ed individualistica, caratteristiche ovviamente non sempre e non del tutto negative, forse la sentenza napoleonica, come rileva il claretti ano padre Augè, dovrebbe esprimersi in tutt’altro modo: ci si veste secondo il tipo di uomo che si è… L’abito è una proiezione esterna della propria personalità, un modo di affrontare gli altri, una maniera specifica di espressione e di linguaggio.
L’abbigliamento personale infatti riflette un determinato  modo di essere, esprime le proprie preferenze, il senso estetico, le qualità e persino le possibilità personali, e anche l’immagine di sé che si vorrebbe offrire agli altri. L’abito dice non soltanto ciò che uno è; ma anche ciò che uno vorrebbe essere od apparire. Esterna la personalità allo stesso modo in cui può farlo il gesto, anche se può sembrare impossibile offrire all’individuo una qualsiasi iniziativa ornamentale in un mondo fatto di pret-a-porter. L’abbigliamento esercita una funzione strettamente connessa con la difesa dell’intimità corporale.
E’, in un certo modo, uno strumento che protegge qualcosa di molto personale e che istintivamente cerchiamo di nascondere agli occhi degli altri, degli estranei. Il corpo, infatti, pur non essendo la proiezione spaziale dell’intimità, non è neppure qualcosa di meramente esterno e giustapposto.
E’ anche la mia propria intimità, nella misura in cui io sono il mio corpo. Gli psicologi e sociologi parlano anche dei vantaggi dei vari tipi di abbigliamento “fissi” ai quali appartiene l’uniforme e quindi anche l’abito ecclesiastico. Secondo Flugel i vantaggi principali che possono essere attribuiti all’abbigliamento fisso sono: esso elimina l’elemento distruttivo della competizione; fa risparmiare tempo e fatica; tende a migliorare l’aspetto delle persone che hanno scarso gusto personale; sopprime le spese inutili per chi dovrebbe vestire modelli “alla moda”…
Altri psicologi fanno esprimere il significato di una disponibilità permanente di servizio…; l’uniformità nel vestire, propria della divisa, significa la costanza, l’adempimento del dovere: è una garanzia di credito. L’abito religioso in uso nella Chiesa Cattolica partecipa senza dubbio di questi pericoli e di questi vantaggi. Rimane il fatto che ancora oggi nel ventunesimo secolo un abito ecclesiastico dignitoso non è un optional ma è obbligatorio per tutti i preti ed i consacrati, solo che nella precedente legislatura canonica c’erano delle pene a chi trasgrediva tale regola, oggi c’è solo la pia esortazione senza alcuna sanzione per i trasgressori ed alla fine ognuno veste come gli pare.


La Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II,  sembra essere diventata l’esercito di Arlecchino… perché molti hanno perso il vero senso della Chiesa militante cioè della sacra milizia. I preti, specialmente i diocesani, non avendo famiglia, cioè una moglie che curi anche il loro aspetto esterno, quando non portano l’abito ( talare o clercyman) corrono il serio rischio di essere sciatti e disordinati e quindi di attirare la generale commiserazione …  In conclusione è vero che l’abito non fa il monaco ma lo fa riconoscere dagli altri e gli ricorda quello che dovrebbe essere…
Don Marcello Stanzione

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